La nuova riforma del Terzo Settore

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è in vigore da qualche giorno la nuova “Riforma del Terzo Settore”.

La riforma del Terzo Settore prevede l’abrogazione di diverse normative, tra cui due leggi storiche come quella sul volontariato (266/91) e quella sulle associazioni di promozione sociale (383/2000), oltre che buona parte della “legge sulle Onlus” (460/97).

Con la nuova riforma del Terzo Settore vengono raggruppati in un unico testo tutte le tipologie di quelli che da ora in poi si dovranno chiamare Enti del Terzo settore (Ets).

Ecco le sette nuove tipologie di Ets:

organizzazioni di volontariato (che dovranno aggiungere Odv alla loro denominazione);

associazioni di promozione sociale (Aps);

imprese sociali (incluse le attuali cooperative sociali;

enti filantropici;

reti associative;

società di mutuo soccorso;

altri enti (associazioni riconosciute e non, fondazioni, enti di carattere privato senza scopo di lucro diversi dalle società).


Con la nuova riforma restano fuori dal nuovo mondo degli Ets:

le amministrazioni pubbliche,

le fondazioni di origine bancaria,

i partiti,

i sindacati,

le associazioni professionali, di categoria e di datori di lavoro.


Gli Enti del Terzo settore saranno obbligati, per definirsi tali, all’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore. Tale Registro, fungerà da strumento unificatore che permetterà l’accesso al Fondo progetti, al cinque per mille, agli incentivi fiscali attraverso l’iscrizione formale superando la confusione dei tanti registri  esistenti.

Il Registro avrà sede presso il ministero delle Politiche sociali, ma sarà gestito e aggiornato a livello regionale. Viene infine costituito, presso lo stesso ministero, il Consiglio nazionale del Terzo settore, nuovo organismo di una trentina di componenti (senza alcun compenso) che sarà tra l’altro l’organo consultivo per l’armonizzazione legislativa dell’intera materia.

Gli Ets, con l’iscrizione al registro, saranno tenuti al rispetto di vari obblighi riguardanti la democrazia interna, la trasparenza nei bilanci, i rapporti di lavoro e i relativi stipendi, l’assicurazione dei volontari, la destinazione degli eventuali utili.

Tali enti  potranno accedere anche a una serie di esenzioni e vantaggi economici previsti dalla riforma: circa 200 milioni nei prossimi tre anni sotto forma, ad esempio, di incentivi fiscali maggiorati (per le associazioni, per i donatori e per gli investitori nelle imprese sociali), di risorse del nuovo Fondo progetti innovativi, di lancio dei “Social bonus” e dei “Titoli di solidarietà”.

Per quanto riguarda il testo sull’impresa sociale, l’Italia sceglie di dare ampliamento ai campi di attività finora previsti (commercio equo, alloggio sociale, nuovo credito, agricoltura sociale, ecc.); di introdurre una, seppur parziale, distribuzione degli utili e incentivi all’investimento di capitale per le nuove imprese sociali: come per le startup innovative tecnologiche, il 30% dell’investimento potrà’ essere fiscalmente deducibile o detraibile.

Si conferma la stabilizzazione per il cinque per mille. Il decreto porta a compimento la riforma strutturale iniziata con la legge di bilancio 2015, che ha attribuito risorse in modo stabile per 500 milioni all’anno.

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